Deserti, dune di sabbia alte come montagne che arrivano fino all’oceano con colorazioni che vanno dal giallo al ruggine, fiumi a carattere torrentizio per molti mesi all’anno in secca, strade sterrate che sembrano piani di biliardo e pericolosissime perché invitano a pigiare sull’acceleratore, miniere di minerali preziosi, clima generalmente caldo asciutto che va dal desertico al subtropicale, il secondo paese al mondo per densità di popolazione per Kmq ( 3,3 persone), almeno 11 etnie diverse presenti sul suo territorio, primo paese al mondo ad inserire la protezione della natura nella sua costituzione, una flora tipicamente desertica con alcune specie estremamente particolari, una fauna abbondantissima presente anche fuori delle aree protette... Questa è la Namibia , un paese meraviglioso ed attraente che ha rapito parte del mio cuore ed in cui vorrei tornare.
La sua capitale è Windhoek situata su uno dei tanti altipiani del paese praticamente al centro dello stato, ha un clima secco con temperature, che nei mesi invernali, sono comprese tra 5 e 18 gradi centigradi.
Appena sceso dal volo di linea, alle 5,30, l’aria frizzante del mattino mi ha subito svegliato dal torpore del volo e dopo aver ritirato i bagagli sono andato in città all'ufficio della società di noleggio dove avevo prenotato la macchina, rigorosamente 4x4, che mi avrebbe accompagnato per tutti i 23 giorni del mio tour. Dopo aver controllato le dotazioni del pick-up Toyota (2 ruote di scorta, un contenitore per l’acqua, da utilizzare esclusivamente per l’acqua del radiatore, da controllare giornalmente, un kit di pronto soccorso, verificata la presenza dell’attrezzatura per la sostituzione delle gomme e di un frigorifero portatile per avere sempre bevande fresche),
la cosa che mi ha stupito sono state le tante, giuste raccomandazioni per una guida senza problemi lungo le strade del Paese; le strade all’interno sono praticamente tutte sterrate ed in perfette condizioni, spessissimo dritte come spade e con una visione di alcuni km, senza traffico (ho viaggiato anche per 300 km incontrando al max 3 macchine), per cui le persone non prestano attenzione alla velocità (consigliata su sterrato max 70 km/h) e questo può provocare incidenti seri e gravi ,come mi è poi capitato di vedere; infatti sono abbastanza frequenti gli attraversamenti degli animali selvatici (soprattutto scimmie e facoceri) che sbucano all’improvviso dai cespugli e visto il particolare fondo stradale, frenare all’improvviso per evitarli, avendo una eccessiva velocità, determina la perdita di controllo della vettura con conseguente cappottamento con immaginabili esiti. Tra l’altro l’assicurazione Kasco della vettura copre tutti i danni tranne il “rolling” (il cappottamento appunto). Un altro pericolo lungo le strade sono le spine degli arbusti lunghe anche più di dieci centimetri e dure come il ferro tanto da forare senza problemi gli pneumatici. Quindi, in conclusione, guidare stando molto attenti alla velocità, evitare frenate brusche, controllare spesso il livello della benzina, visto che i distributori sono molto distanti uno dall’altro, evitare di viaggiare di notte e non fermarsi se qualcuno chiede di farlo a meno che non sia la polizia o altri turisti. Nonostante tutti questi avvertimenti, per tutta la durata del viaggio, a parte una foratura, non abbiamo avuto alcun problema.
Finalmente la mattina dopo è iniziato il mio viaggio alla scoperta delle bellezze del Paese.
La prima tappa prevista è stata l’avvicinamento alle dune di Sossusvlei che ho raggiunto dopo 8 ore di guida prendendo confidenza con la macchina e con le strade, circondato da un paesaggio eccezionale che mi ha dato una prima idea di quanto avrei visto nei giorni successivi.
La mattina dopo, all’apertura dei cancelli, sono entrato nel Parco delle Dune, luogo simbolo del deserto del Namib: senza fermarmi troppo sono andato direttamente nella parte più interessante, che dista circa 60 km dall’entrata: Sossusvlei e Dead vlei. L’ambiente qui è sbalorditivo: dune di sabbia rosse alte qualche centinaio di metri, animali dappertutto e poi la depressione di Dead Vlei , una sorta di catino circondato per tre quarti da alte dune con, nella parte bassa, decine di acacie morte, ormai scheletrite, uniche testimoni dell’oasi che fu, prima del prosciugamento del lago che occupava la zona centrale; qui il nero dei tronchi, la sabbia rossa delle dune, il bianco del fondo salino ed il blu del cielo rendono questo posto uno dei più celebri d’Africa e dei più ritratti dai fotografi.
Poi, se si riesce ad alloggiare nelle strutture all’interno del parco, l’accesso è libero a tutte le ore e quindi si può vedere questo spettacolo anche all’alba o al tramonto, momenti in cui i giochi di luce rendono la valle ancora più attraente. Nel parco moltissime dune hanno un nome, spesso affiancato da un numero, che corrisponde alla distanza della duna dall’ingresso: Duna 45 la più famosa, Big Mama. Big Daddy… Sfiancante è salire sulla cima di queste dune, anche perché il caldo già di prima mattina si fa sentire, ma lo spettacolo che si gode dall’alto è impareggiabile. Poi orici, coyote, gazzelle, astori cantanti, passeriformi e tanto altro hanno accompagnato la mia escursione.
Il giorno dopo ho affrontato una tappa di trasferimento di 340 km fino alla città di Swakopmund. Durante il percorso ho fatto una deviazione per visitare la Valle della Luna ed il Welwitschia plains, qui il paesaggio è veramente lunare, una delle meraviglie naturali della Namibia, con i suoi panorami maestosi, risultato di migliaia di anni di erosione; in questa valle si trova una delle specie vegetali più antiche del mondo: la Welwitschia mirabilis che può continuare a crescere e sopravvivere anche più di un migliaio di anni, per questo è considerata un fossile vivente.
Per tre giorni sono rimasto a Swakopmund una piccola cittadina dall’aspetto coloniale, affacciata sull’oceano Atlantico. Qui le cose da fare non sono mancate: ho fatta una escursione con una organizzazione locale nel deserto del Namib, che circonda completamente la città, alla ricerca dei rettili del deserto: camaleonti del Namib, gechi palmati, Vipere di Peringuey, lucertole del deserto, serpenti verme… è stata una esperienza incredibile vedere le guide spostarsi tra le dune di sabbia e sfidarmi a trovare questi animali, che naturalmente non riuscivo ad individuare. Un altro giro mi ha condotto sulle immense dune che finiscono direttamente nell’oceano, dalla parte di Walvis Bay dove al tramonto i fenicotteri si concentrano nella laguna. Ho visitato a Cape Cross, a 180 km a nord, la grande colonia di Otarie del Capo. Alla colonia si accede con delle passerelle in legno sopraelevate in modo da evitare eccessivo disturbo agli animali, dando opportunità fotografiche incredibili.
Mi sono poi trasferito nel Damaraland, poco più a nord, non senza fare un passaggio in un punto della Skeleton Coast, così chiamata per la presenza di innumerevoli relitti di navi (oltre un migliaio) spiaggiati; la causa di questi naufragi, che avvengono anche oggi, è dovuta alla sabbia che arriva al mare dalle dune portata dal vento e che crea dei banchi subacquei imprevedibili anche a grandi distanze dalla costa.
Nel Damaraland ho vissuto la più bella esperienza di questo viaggio facendo almeno tre escursioni nel deserto, che qui è prevalentemente roccioso, con il mio fuoristrada alla ricerca degli elefanti e dei leoni del deserto, : ho incontrato gli elefanti più volte mentre ho trovato soltanto due leoni (tra l’altro monitorati con il collare) morti avvelenati già da qualche giorno; purtroppo in quelle zone ci sono molti allevamenti di bestiame brado e gli allevatori non tollerano l’eventuale predazione e spesso lasciano dei bocconi avvelenati. Questa pratica purtroppo ha quasi estinto i pochi esemplari di leone del deserto presenti nella zona.
E’ stato un vero spasso guidare nei letti dei fiumi in secca per attraversarli; utilizzare le marce ridotte per superare pendii di sabbia e sentieri rocciosi; fare una curva per aggirare una collinetta e trovarsi davanti un branco di elefanti, fare marcia indietro per farli passare ed osservare i loro comportamenti e la protezione verso i piccoli; dover attendere mezz’ora in cima ad una altura, sulla quale eravamo saliti, per aspettare che un maschio di elefante in calore smettesse di distruggere piante e spallette del sentiero sfogando la sua frustrazione vicino alla nostra macchina; incontrare tanti altri animali per niente intimoriti dalla nostra presenza e fotografarli anche da pochissima distanza; dedicare del tempo alla visita dei graffiti e delle formazioni geologiche di Twyfelfontein.
Un discorso a parte va riservato alla popolazione Himba, il popolo rosso della Namibia. Questa etnia rappresenta soltanto il 4% della popolazione, rifiuta la modernità e preferisce vivere secondo la sua tradizione. Il popolo Himba alleva prevalentemente capre ed ancora oggi segue la transumanza delle mandrie che sono fonte di vita e di credenza religiosa. In un villaggio Himba si incontrano prevalentemente donne, bambini e qualche anziano poiché gli uomini sono nei campi con il bestiame.
Le donne hanno un corpo statuario coperto in genere da un gonnellino di pelle di capra e sembrano assomigliare a delle statue di terracotta, infatti cospargono il corpo ed i capelli con un impasto fatto di burro di capra, erbe e terra color ocra, questo, oltre che proteggerle dal sole e dagli insetti, da al loro corpo un colore rosso considerato molto sexy. Inoltre hanno i capelli acconciati in vari modi, che cambiano con l’età e con le situazioni della loro vita.
I villaggi Himba sono tutti costituiti di capanne di fango con i tetti di paglia e sono circondati da una recinzione protettiva esterna fatta di rami intrecciati.
Ultima tappa del mio tour è stata la visita al Parco Nazionale di Etosha dove sono rimasto cinque giorni, in cui, con la mia auto, ho percorso tutte le strade del parco alla ricerca degli animali.
Sotto il dominio tedesco nel 1907 il governatore dell'Africa sudoccidentale tedesca (come era allora chiamata la Namibia), proclamò Etosha (che significa grande pianura bianca) una riserva di caccia nazionale. All'epoca era estesa per oltre 100.000 kmq di territorio ed arrivava ad ovest fino alla Skeleton Coast. Dopo varie controversie e problematiche geopolitiche, il parco, nel 1970, è stato ridotto alle dimensioni attuali di poco più di 20.000 kmq.
Al suo interno si può alloggiare in sei Camp per accedere ai quali bisogna prenotare con largo anticipo perché la richiesta è sempre superiore alla disponibilità: Dolomite, Okaukuejo, Halali, Onkoshi, Namutoni ed Olifantsrus.
Ad Etosha sono gli umani ad essere “in gabbia” infatti i vari camp sono circondati da un’alta recinzione e si ha il permesso di uscire subito dopo l’alba e rientrare obbligatoriamente al tramonto.
Amanti della natura e fotografi percorrono le strade del parco alla ricerca degli animali e la loro abbondanza è sorprendente; in inverno, la nostra estate, le pozze d'acqua offrono un'opportunità unica perché basta fermarsi ed aspettare che gli animali vengano ad abbeverarsi : è un continuo va e vieni, prede e predatori, grandi e piccoli, dal piccolo Dik-dik all’elefante (tra i più grandi in Africa grazie all’abbondanza di nutrienti), dalla gazzella alle giraffe, dal leone alla iena e di notte nella pozza di Okaukuejo, che è attaccata al camp ed illuminata a giorno, è facile osservare anche il rinoceronte nero.
Dei giorni trascorsi all’interno del parco tre sono le cose che più mi sono rimaste impresse: la pozza di Okaukuejo in notturna, frequentata da ogni specie di animale: essere comodamente seduti, protetti da una balconata che dà direttamente sulla pozza illuminata a pochi metri da noi ed aspettare gli animali all’abbeverata è una esperienza unica ; l’incontro, di primissima mattina, appena dopo l’apertura dei cancelli, con un piccolo gruppo di leoni, di ritorno dalla caccia notturna, visti per caso, passando lungo la strada con la macchina, mentre eravamo diretti ad una pozza: all’improvviso, nel mare dorato della vegetazione, ho visto spuntare due orecchie, mi sono fermato e dopo pochi istanti sono apparse le teste e poi parte del corpo dei leoni, una femmina adulta e tre giovani maschi, che, per alcuni minuti, si sono fatti fotografare, confusi nel dorato dell’erba, per poi sparire nel fitto del bush; le grandi mandrie di elefanti, composte anche da più di trenta individui, che appaiono all’improvviso dal folto e che arrivano alla pozza per abbeverarsi e rinfrescarsi bagnandosi nelle zone più profonde.
Io ho visitato prevalentemente il centro-nord della Namibia, ma il centro-sud è altrettanto bello ed affascinante e sicuramente sarà oggetto di un futuro viaggio.
In queste mie righe ho cercato di riportare gli aspetti salienti del mio tour, ma posso affermare che è stata una esperienza unica, forse il più bel viaggio della mia vita, che ha riempito i miei occhi di tante immagini di natura ed emozioni di scoperta che non dimenticherò mai!!